Raccolta di firme contro gli abusi di uno stato dispotico

 

In tutte le repubbliche falsamente democratiche, quando un cittadino tarda a pagare un debito nei confronti dello stato, viene costretto a pagare, mediante decreti ingiuntivi o pignoramenti, con l’aggravio di una mora, ricorrendo spesso all’ausilio di enti intermediari, come l’Equitalia. In molti casi del genere, i malcapitati sono stati mandati in rovina. Quando, invece, è lo stato ad essere in debito nei confronti di un cittadino, si prende tutto il tempo che desidera, pagando con anni di ritardo e senza interessi di mora. Questo è un enorme abuso, altro che democrazia! È un atto di prepotenza molto simile a quello di certi monarchi o vassalli del medioevo, che usavano molto spesso tartassare e sfruttare i loro sudditi.

 

Un'altra questione da mettere in risalto è quella dei contratti di lavoro, nei confronti dei quali lo stato non si limita a disattenderli o a non rispettarli, ma non li prende minimamente in considerazione, agendo come se non esistessero, cambiandone continuamente le regole, quando non gli garbano. Infatti, quando un comune cittadino stipula un contratto con chicchessia, è costretto a rispettarne tutte le condizioni e i termini, altrimenti è imputabile di inadempienza contrattuale ed è quindi soggetto a delle sanzioni. Non ha altre possibilità oltre a osservarne a malavoglia le regole che trova sconvenienti oppure non rispettarle, assumendosi tutte le responsabilità e accettando poi le conseguenze legali a proprio danno. Lo stato, invece, ha un’altra possibilità in più: quella di cambiare le regole dei contratti come e quando gli pare, anche in modo retroattivo.

La non-retroattività delle norme è un principio generale dell'ordinamento italiano, cui il legislatore dovrebbe attenersi.

In base all’art. 25 della Costituzione delle Repubblica italiana, è vietata la retroattività della norma penale, mentre nella giurisprudenza della Consulta una norma retroattiva e non penale può essere dichiarata illegittima se questa viola il principio generale di ragionevolezza, disparità di trattamento ovvero l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica quale elemento fondante lo Stato di diritto (art. 3), la coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridico, il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (sent. n.6 del 1994).

È ovvio che se lo stato può cambiare in modo retroattivo le regole di un contratto stipulato trenta o quarant’anni fa, i contratti non hanno più ragione di esistere, non servono più a niente perché non garantiscono niente.

Lo stato, invece, si arroga il potere di cambiare le regole dei contratti, anche in modo retroattivo, come è avvenuto di recente in Italia riguardo all’innalzamento dell’età pensionabile. A partire dagli anni ’90, infatti, lo stato italiano, attraverso varie leggi che nel corso degli anni si sono susseguite, ha innalzato sempre più l’età pensionabile e cambiato continuamente le regole dei vari contratti di lavoro, compresi anche quelli stipulati parecchi decenni prima dell’entrata in vigore della legge di cui si parla. In tal modo sono state imposte condizioni sempre più svantaggiose per i lavoratori e assolutamente prive di qualsiasi fondamento logico e morale. I contratti servono per dare sicurezza ai contraenti, garantendo nel tempo il rispetto delle condizioni in essi contenute. Se poi lo stato può cambiare le regole contrattuali quando gli pare, i contratti non hanno più ragione d’esistere. Se a chi si accingesse ad iniziare un lavoro gli venisse spiegato preventivamente che sa quando inizia ma non può sapere quando finirà, che potrebbe anche arrivare a morire senza poter andare mai in pensione, che non esiste nessun contratto di lavoro, anche perché non servirebbe, poiché siamo sudditi di uno stato dispotico che, se esistessero i contratti, lo stato potrebbe poi non rispettarli, ognuno si regolerebbe se gli conviene accettare oppure no quel lavoro, anche se in molti casi si è costretti ad accettarlo anche a mala voglia, per necessità economica e per mancanza di alternative.

Prediamo ad es. il caso di una donna che ha famiglia, ha poco tempo da dedicare al lavoro, ma ha bisogno di lavorare per sopravvivere. Dopo aver tanto esitato se accettare oppure no un determinato lavoro, infine lo accetta, ma soltanto perché le hanno garantito che dopo pochi anni sarebbe potuta andare in pensione e dedicarsi pienamente alla propria famiglia e alle cose che le interessano veramente e fanno pienamente parte della propria vita. Arrivata a pochi mesi dal pensionamento, proprio mentre si accinge a presentare la domanda di cessazione dal servizio, lo stato vara la prima legge che le impedisce di andare in pensione. Come se non bastasse, lo stato, quasi ogni anno, emana ancora altre leggi assurde, che innalzano sempre più l’età pensionabile e cambiano numerose altre condizioni contrattuali, sempre ai danni dei poveri lavoratori. A questo punto, tutti i lavoratori che si trovano pressoché nella stessa situazione di quella donna che aveva accettato il lavoro soltanto a condizione di poter andarsene presto in pensione, si sentono traditi da uno stato falsamente democratico e dispotico che fa e disfa a proprio piacimento, cambiando le carte in tavola, sempre ai danni dei poveri cittadini. Io ritengo che, così come si possono denunciare per inadempienza i comuni cittadini che non rispettano i contratti, si potrebbe denunciare anche lo stato italiano per lo stesso motivo. Forse potrebbe essere tollerata una legge che cambiasse le regole dei nuovi contratti, quelli stipulati, cioè, dopo l’entrata in vigore della legge medesima. Ma una legge che cambia le regole dei contratti ad essa preesistenti, stipulati venti o trent’anni prima della sua entrata in vigore, è proprio inammissibile. A tal proposito, io esorterei i cittadini italiani ad organizzare una raccolta di firme contro tale abuso da parte dello stato, per arrivare, infine, ad una denuncia collettiva vera e propria. Se una simile denuncia fosse fatta da un singolo cittadino, comporterebbe soltanto inutili spese giudiziarie, senza portare a nessun risultato positivo. Ma, se è vero che l’unione fa la forza, forse una denuncia collettiva potrebbe avere una certa efficacia. Tale raccolta di firme potrebbe essere organizzata da un’apposita organizzazione, che sto per fondare. Chi è d’accordo con me potrebbe inviarmi un messaggio di posta elettronica all’indirizzo lp@luigipascarito.it